È nato un papà! È con queste quattro semplici parole che qualche settimana fa Silvio Petta, fondatore di Superpapà, ha commentato un mio post su Linkedin. Semplici certo, ma che raccontano perfettamente una storia, la mia e di tantissimi altri, e che riescono a riassumere tutto nella loro semplicità. Nel post condividevo una delle notizie più belle del mondo, quella di essere diventato papà ovviamente, unitamente ad alcune considerazioni sullo “status” di padre nella cultura del lavoro in Italia oggi. E in questo racconto, di semplice c’è relativamente poco.
E’ arrivato il piccolo Leo, e ora?
Partendo dal fatto che non è stato semplice diventare papà in primis. La genitorialità biologica è stato un qualcosa di fortemente voluto e cercato per diversi anni da me e mia moglie: analisi, consulti, esami, interventi, etc. Penso che sia una di quelle cose in cui solo se ci sei passato puoi comprendere davvero il senso di smarrimento e di frustrazione che si provano in quei momenti. Poi qualcosa è maturato in noi, qualcosa che abbiamo scoperto avere entrambi già da prima, un piccolo desiderio di un grande amore, e così abbiamo cominciato a studiare il mondo dell’adozione. E anche qui, niente di semplice. Il processo è – a mio avviso giustamente – obiettivamente complesso, ma la fortuna ci ha sorriso e, in tempi relativamente rapidi, a Marzo di quest’anno ci è arrivata “la telefonata”, quella che tutti gli aspiranti genitori adottivi si aspettano.
E così abbiamo conosciuto Leo, un bimbo dolcissimo e fortissimo, un vero leoncino, con poco più di due mesi quando l’abbiamo portato a casa. Manco a dirlo, non è stato sicuramente semplice riorganizzare le nostre vite e preparare la casa per accogliere un neonato con un preavviso di 24-48 ore. Eh già, perché è questo il tempo trascorso tra la comunicazione del tribunale e lo stringere tra le braccia il piccolo Leo in ospedale.
Si forma una “nuova” famiglia
Sorrisi, pianti, abbracci, ore di sonno perse, tanto amore: penso che un’idea ce l’abbiate un po’ tutti. Un giorno dura una settimana, eppure le giornate volano via. E così, senza rendermene conto, avevo quasi terminato i dieci giorni di paternità obbligatoria. A quanti è successo? Sei ancora un po’ spaesato, hai dormito sì e no tre ore a notte per oltre una settimana e il giorno dopo devi presentarti in ufficio e fare quasi come se non fosse successo niente. Ci si aspetta che sia semplice per il papà riprendere la normale routine, immaginando forse che il bambino sia a cura esclusiva della mamma. Tanto semplice non è se invece credi in un rapporto paritario nella coppia, con una ripartizione egualitaria delle responsabilità nella gestione della casa e della famiglia.
Una semplice scelta
A quel punto ho realizzato che nei mesi successivi, forse i più importanti per lui e per noi, quelli in cui “si fa nido” e si costruiscono le fondamenta di una nuova famiglia, la mia partecipazione sarebbe stata “part-time”. Non solo, mia moglie, imprenditrice e lavoratrice autonoma da casa, lanciatissima nel suo progetto, avrebbe dovuto sospendere completamente la sua attività, difficilmente conciliabile con il livello di attenzione che necessita un neonato di pochi mesi. E allora ho preso una decisione molto “semplice”: un lungo congedo parentale facoltativo, che mi permetterà di passare del tempo di qualità con mio figlio in questi primi mesi, e al tempo stesso dare l’opportunità a mia moglie di bilanciare in modo sano la sua realizzazione professionale assieme al nuovo ruolo di madre.
Semplice sarebbe se la cultura e la legislazione del lavoro nel nostro paese – ma non solo – fosse sufficientemente matura dal porre sullo stesso piano i neo genitori, senza dare per scontato che la donna si assuma ruolo e responsabilità principali nella coppia in materia di figli, cosa che genera un duplice problema: non permettere al padre che ne abbia desiderio di essere presente quanto vorrebbe nella vita dei propri figli a partire dai primissimi mesi, e alla madre di realizzarsi come donna e professionista. Senza contare quanto questo potrebbe aiutare a gestire e magari risolvere le tante tensioni che naturalmente si creano nella coppia con l’arrivo di un nuovo coinquilino esigente e desideroso di attenzioni.
Ad essere onesti, mi ritengo assolutamente fortunato per come è stata presa la notizia in ufficio. Cresciuto nella nostra cultura del lavoro ho avuto un primo momento di esitazione ma, una volta presa e comunicata la decisione, sono stato piacevolmente sorpreso dalle reazioni ricevute. È stato incoraggiante sentire le parole di approvazione e vedere chi anche solo con lo sguardo mi diceva “fai bene”, ripensando ai momenti passati – e forse anche a qualcuno perso – con i propri figli. Quanti magari sacrificano il proprio desiderio di essere presenti per i propri figli in virtù di un qualche timore che l’azienda possa non vedere di buon occhio un uomo che prende una decisione del genere? Quanti, pur avendone la possibilità, hanno goduto dei soli 10 giorni di paternità obbligatoria, semplicemente perché “è normale che sia così”, sarebbe strano il contrario?
Parità genitoriale, perché no
Questo mi ha fatto realizzare che sicuramente vanno fatti grandi passi avanti da parte delle forze politiche e delle imprese per rendere formalmente disponibili certe opportunità per entrambi i sessi, ma forse il grosso del lavoro dobbiamo farlo noi nel nostro piccolo, per rendere culturalmente normale che un padre possa godere, se lo volesse, dello stesso periodo di congedo della madre, o semplicemente lasciare che una donna non venga ingabbiata nel ruolo esclusivo di madre. Godere di quanto già a nostra disposizione è sicuramente il primo passo per estendere ulteriormente questi diritti acquisiti negli anni e portare ad un cambiamento concreto nella società di domani. E cercare di migliorare un po’ il mondo non è forse una nostra responsabilità come genitori?
Sono convinto che più se ne parla, e più ci saranno esempi come il mio e come tanti altri che ho sentito nelle ultime settimane, e che diventare papà a tutti i livelli diventi sempre più straordinariamente normale e non visto come un atto isolato di coraggio. Semplice, no?