Riapertura delle scuole, ce la possiamo fare

Riapertura delle scuole, ce la possiamo fare

Chiariamo subito: certezze non ne abbiamo. Il punto fermo è sempre lo stesso, forse l’unico: la scuola, le scuole riapriranno. Lo ha confermato anche la ministra Azzolina qualche giorno fa:
“Si riparte il 14 settembre. Abbiamo più di 4mila plessi scolastici, più di 8mila autonomie. Abbiamo fatto un lavoro enorme per garantire al massimo la sicurezza di studenti, studentesse e di tutto il personale scolastico””.
Già la data non è uguale per tutti. C’è chi tornerà in aula il 14, chi qualche giorno più tardi. Di mezzo in diverse regioni ci sono le elezioni regionali e, allora, ripartenza posticipata

Nebuloso, ancora oggi, il panorama delle regole. Il 21 agosto sono state pubblicate le “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia”
prodotte dal gruppo di lavoro composto da Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, Inail, Fondazione Bruno Kessler, Regione Emilia-Romagna e Regione Veneto.
Trentuno pagine che faticano ancora a diffondersi correttamente tra bufale, banchi con le rotelle, meme fuorvianti e quant’altro.

L’introduzione, i primi cinque righi, eppure sono chiari:
“La riapertura della scuola attualmente prevista nel mese di settembre 2020 pone dal punto di vista epidemiologico un possibile aumento del rischio della circolazione del virus nella comunità. La questione centrale delle decisioni di riapertura scolastica non è se le scuole debbano riaprire o meno, ma piuttosto come procedere con una riapertura scolastica più sicura attraverso la comprensione e la consapevolezza dei rischi per la salute pubblica, non solo sui bambini, sul personale scolastico e sui loro contatti sociali immediati, ma anche su un aumento della trasmissione a livello di virus comunitari”.
In sintesi: il punto non è riaprire, ma riuscire a tenerle aperte.

Il punto non è riaprirle, ma riuscire a tenerle aperte

Questo dovrebbe essere l’impegno collettivo, non solo delle istituzioni, per i prossimi mesi. Consapevolezza, cura della persona, prevenzione, scrupolo, attenzione: su queste basi dovrebbero muoversi i genitori, gli insegnanti, il personale scolastico ad ogni livello. I ragazzi, a seconda dell’età. È chiaro che chiedere uno sforzo ai più piccoli è davvero molto complicato: in questi mesi abbiamo imparato a trasmettere alle nostre bambine e ai nostri bambini i messaggi corretti. Di attenzione, non di paura. Di correttezza, non di divieto. Di normalità nella straordinarietà, non di eccezione nell’emergenza. E su questa strada dobbiamo insistere. Per i più grandi, invece, per le nostre ragazze e per i nostri ragazzi il messaggio vira: abbiate cura di voi stessi e degli altri.

Da dove partire?

Dalla normalità appunto: l’acquisto del grembiule, la fornitura degli strumenti, lo zaino e i libri. La ricordate la vostra infanzia? Quella delle settimane di fine estate, quella di settembre, quella da “fine delle vacanze” e da “ritorno a scuola”, quella semplice, quella dei periodi “normali”. Quella degli imminenti impegni scolastici dei bambini. Il ritorno tra i banchi, il ritrovare gli amici salutati mesi prima e mai incontrati durante l’estate, il desiderio di scoprire cose nuove, se l’insegnante è lo stesso di fine giugno o se sarà cambiato, se l’ora di italiano segue ancora quella di educazione fisica e se la palestra quest’anno l’avranno finalmente ultimata. Questi erano i pensieri della nostra infanzia. Questi sono i messaggi che certo di trasmettere oggi a mio figlio. Perché la scuola, al netto di tutto quello che ci sta succedendo attorno, è soprattutto questo: relazione, conoscenza, approfondimento.

L’attesa del rientro a scuola era essa stessa il rientro a scuola. E come tale dobbiamo raccontarcelo e raccontarlo ai nostri figli.

Tenere la barra dritta

“Paolo, sei contento di tornare a scuola?”: ci ho provato così il 1° settembre. Che, da sempre, nei miei ricordi di ragazzo non è solo il giorno del mio compleanno, ma è anche il momento di tornare a pensare alla scuola. “Sì” mi ha risposto. E ne sono stato sinceramente felice. Perché la sua risposta è stata altrettanto sincera. Gli amichetti, le maestre, la scuola primaria sono un aspetto della nostra vita assolutamente non trascurabile, il primo vero ambiente sociale che tocca a tutti. E, in fondo, tutti ne siamo affezionati. Lo siamo stati, lo saremo ancora.

“Sì” mi ha risposto. “Sai che quest’anno ci saranno nuove regole, qualche limitazione, uscirai prima, non potrai abbracciare i tuoi amichetti, dovrai far attenzione a non toccare bocca e naso, ecc.” avrei voluto mettere in fila tutte queste raccomandazioni. Ma non l’ho fatto. Per non spaventarlo.

Dobbiamo tutti tenere la barra dritta: perché la scuola è questo. Occasione, opportunità, diffusione: ci auguriamo tutti che non sia occasione di nuovi focolai, opportunità di risalita della curva dei contagi, diffusione più frequente del virus. Ma che sia semplicemente quello che è sempre stato.

I nostri figli ne hanno bisogno

Il punto fermo è sempre lo stesso, forse l’unico: la scuola, le scuole riapriranno. Ed è giusto così: perché i nostri figli ne hanno bisogno, hanno sufficiente necessità di vivere un ambiente sociale, istruttivo, di crescita. Un ambiente che possa farli maturare nel modo corretto, educarli alla comunità.

Ecco, maturità e comunità: sono i due principi che soprattutto noi adulti dobbiamo sposare con fede. La riapertura delle scuole è forse la sfida più grande in questa pandemia. E, come tale, va affrontata di gruppo. Con consapevolezza, con scrupolo. Senza astio verso il prossimo. Per i nostri bimbi.

Spegniamo i gruppi whatsapp, non alimentiamo le catene, alleniamoci a essere razionali e comprensivi, non divisivi. I nostri figli capiranno. E sapranno comportarsi di conseguenza.

Antonello Minoia

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