Antonello Minoia. Pugliese dal 1983. Giornalista pubblicista dal 2005.
Papà di Paolo dal 2015 e scrittore da sempre, per lavoro racconta di aziende e imprese.
Gli abbiamo chiesto di parlarci di Alex Zanardi e lui ci emoziona così:
Quel maledetto venerdì pomeriggio
Il sabato, in genere, è quel giorno in cui i papà possono dedicarsi più liberamente al proprio figlio. Senza impellenze di lavoro. Senza troppe scadenze. Eppure sabato è stato un giorno diverso.
Sospesi così: con il telefono a mezz’aria, in cerca di notizie in arrivo dalla terapia intensiva del Santa Maria delle Scotte di Siena.
Venerdì pomeriggio Alex Zanardi, uno dei personaggi più amati dello sport italiano, una delle figure più iconiche in assoluto, si è schiantato contro un tir. Un altro gravissimo incidente per chi, come lui, di certo non si può dire accompagnato dalla fortuna.
“Condizioni stabili” rilanciano al tg. “Valuteremo nei prossimi giorni” il parere dei medici. “Forza Alex” l’urlo commosso dei social.
Certo il 2020 non è stato fortunato finora. Ma ci sono notizie, come quella che ha coinvolto il campione bolognese, capace di vincere quattro volte una medaglia d’oro olimpica, che vanno oltre.
Abbraccio Paolo, mio figlio, perché in fondo questa è una storia tanto dirompente da entrare nella vita di ognuno di noi. E tenerci sospesi così: in attesa di una notizia positiva.
Non ci sono virus da sconfiggere e cacciare via questa volta, ma un uomo da sostenere. Un fratello maggiore da convincere a restare, lui sì, con noi. Non è una storia pubblica. È una storia personale, ma riesce a riguardare tutti noi. Perché simbolo di coraggio, determinazione, forza. Ma non solo.
Un esempio da amare
Tutti dicono che mio padre è un esempio di vita in quanto uomo di sport. Io penso che lui sia un esempio di vita come padre”.
Aveva scritto Niccolò Zanardi qualche tempo fa su Instagram.
Niccolò, in questa storia, non è solo il figlio di Alex. Ma è un po’ il figlio di tutti noi. Perché al tempo di Lausitzring, al tempo dell’incidente che ha segnato la prima vita di Alex e l’inizio della seconda, aveva 3 anni ed era abbastanza inconsapevole. Ma oggi Niccolò di anni ne ha 22 e di consapevolezza ne ha tutta quella che, purtroppo, basta.
Non è disincantato, insomma. Al contrario di Paolo, mio figlio, che mi chiede del perché tutti seguano, e anche io, questa storia.
Zanardi è così amato perché emblema dell’uomo che ha superato le difficoltà. Una storia che, in tempo di Covid, si carica di ulteriori significati. Non si è mai né nascosto né arreso: quanta forza possa aver trovato all’interno della famiglia, composta da suo figlio e da sua moglie Daniela, è abbastanza evidente.
Il 15 settembre 2001 lei c’era già e non ha mollato nemmeno di un centimetro. Oggi lei c’è, più forte di prima. E non ha voglia di mollare nemmeno per un attimo. In mezzo ci sono un numero infinito di interventi chirurgici, piccoli grandi ostacoli, riabilitazioni complesse.
Un’esistenza non facile insomma. Un’esistenza che ti aiuta a rendere, però, tutto quello che ne consegue più bello, più ricco di soddisfazioni.
Alex non è mai stato lasciato solo. Dalla famiglia e da tutti noi, che abbiamo imparato a conoscerlo prima da pilota, poi da campione paraolimpico, poi da personaggio televisivo di grande brillantezza. Alex non va lasciato solo nemmeno ora.
Il segreto di Alex Zanardi
Ma ci deve essere, per forza di cose, al di là della grandezza della storia che Zanardi rappresenta, qualcosa di più profondo nel rapporto di amore, amore sì, tra il bolognese e gli italiani. Per quanto grande non può bastare la concretezza, l’essere riuscito a rinascere, l’essere stato d’esempio per tutti a giustificare un così grande affetto. Vorrei spiegarlo a mio figlio che, quelle cose lì, servono, sono necessarie.
L’essere grande non basta. Serve l’impegno quotidiano, serve la passione delle piccole cose. E vorrei essere in grado di farlo, per mio figlio. Ma c’è per forza di cose qualcosa di più profondo nel rapporto d’amore tra Zanardi e gli italiani. Come quelle storie di infanzia, legate ai suoi inizi in Kart a Castel Maggiore, quella piazza in cui tutti sognano di riabbracciarlo. Gli amici di sempre: Baffo, Gaspo con cui ha scritto anche un libro, Filippide.
Quel rapporto con papà Dino che gli ha regalato il primo kart, che gli ha insegnato tutto e che non ha avuto il tempo di goderselo.
Quel suo essere “persona squisita” fin da bambino, quel suo riuscire a portare a termine le cose. Come quando nel 2003 Zanardi torna in pista, proprio a Lausitzring, circuito nel quale due anni prima era stato vittima del terribile incidente, per ripercorrere simbolicamente i restanti 13 giri della gara del 2001. Come quelle storie familiari sfortunate e l’aver perso la sorella nel 1979 a causa di un incidente stradale.
Ci deve essere per forza qualcosa di più profondo. Non è Zanardi campione. Non è Zanardi uomo. È Alex prima figlio e poi papà.
“Mio papà mi ha insegnato a non arrendermi mai, oltre alla gioia e all’orgoglio che può provare un padre. Quella gioia e quell’orgoglio che voglio vivere con mio figlio. Anche per le recite scolastiche. Il momento in cui cerca con gli occhi la mia approvazione è impagabile”
dirà Alex nel 2016 in occasione dei suoi 50 anni. Siamo tutti figli, siamo tutti papà. Per questo siamo tutti Alex.
L’Italia sospesa
L’Italia, per Zanardi, torna sospesa. E, ancora una volta, è riuscito a insegnarci qualcosa. Come ripartire.
“Se ogni giorno fai una cosa, grande o piccola, il giorno dopo hai un nuovo punto di partenza. E, col tempo, puoi muovere le montagne. Io non ho vinto gli ori tagliando i traguardi, ma ho cominciato a vincerli nel mio letto d’ospedale a Berlino”.
Questo vorrei dire a mio figlio, questo tutti i papà dovrebbero dire ai propri figli. Quanto ogni muro possa essere valicabile. Se l’hai preso dritto in faccia, se ti ha spezzato la strada, se ti ha costretto a invertire la rotta. L’importante è superarlo. Oltre. Andare oltre.
Vai oltre Alex. Per Niccolò, tuo figlio e per Dino, tuo papà.
E per tutti i papà e i figli.