Sono Mauro, un papà… dislessico.
Ho 44 anni e quando andavo a scuola io non c’erano certificazioni che potessero aiutare il percorso scolastico di chi presentava difficoltà; era tutto un “Suo figlio è disattento”, “Suo figlio non si impegna”, “Non è in grado”, “Non è possibile che alle superiori non sappia scrivere decentemente”, ecc…
Non so per certo quanti studenti ci vogliano per distruggere psicologicamente un insegnante adulto. Ma so per certo che basta un solo insegnante a distruggere psicologicamente un bambino.
Sono un papà dislessico e ora vi racconta la mia storia.
L’esperienza negativa in prima superiore
Nel mio caso lo trovai in prima superiore, fino ad allora avevo avuto la fortuna di avere sempre vicino degli attenti genitori e dei professori che mi hanno sempre spronato ed aiutato nei momenti di difficoltà.
Ma in prima liceo trovai lui, il professore disinteressato dei suoi studenti, messo li perché ormai prossimo alla pensione. Bastò il primo tema per richiamarmi davanti alla classe dicendo:
“Mauro, ma stai scherzando? Come puoi consegnarmi un compito di italiano scritto in stampatello? Ora ti metti li e lo ricopi in corsivo”.
Sinceramente, anche oggi, nel mio ambidestrismo, scrivo malissimo in corsivo con entrambe le mani, ma il fatto è che sono disgrafico.
Sono un papà disgrafico
Mi manca il senso dello spazio nella scrittura, mi manca il senso della misura sulle lettere ed il mio corsivo, vi giuro, a volte è incomprensibile anche per me.
Così alle medie, il mio professore di Scienze, che ringrazierò per sempre, mi disse:
“Scrivi pure in stampatello, l’importante è che tu scriva, non come scrivi”.
Ma ciò non bastava a questo nuovo, vecchio docente. Cercai di copiarlo al meglio, ma non feci in tempo a finirlo. Mi riprese nuovamente di fronte a tutti quei compagni nuovi che ridacchiavano guardandomi come fossi un alieno.
“Mi prendi in giro? Per domani me lo porti scritto due volte, e che sia scritto bene”
Ricordo che andando verso casa avevo un grosso magone; mi chiedevo come ci potessero essere delle persone così fredde, così disinteressate. In cuor mio mi chiedevo come mai un educatore se ne fregava proprio dell’educare i suoi studenti, di aiutare un anello debole.
Un professore ostile
Avevo cominciato da poco a scrivere: poesie, aforismi, di tutto un po’. Lo trovavo uno sfogo anche se agli inizi me ne vergognavo parecchio.
Comunque per farla breve gli episodi continuarono, non mi interrogò più nelle sue materie e a fine anno mi bocciò. Fu un duro colpo, per me e per i miei genitori.
Mi ripresentai l’anno dopo. Quando mi vide disse testuali parole:
“Le mele marce vanno tolte subito dalla pianta, esse non saranno mai buone”.
Capii che non avrei avuto futuro, nonostante gli sforzi, aveva già deciso di farmi fare la fine dell’anno prima… verso fine anno mi ritirai.
La passione per le lingue straniere
I miei genitori, dopo avermi fatto fare diversi mesi di lavoro in fabbrica, acconsentirono a farmi cambiare scuola ed indirizzo (da Scientifico a Tecnico per il Turismo) poiché in latino avevo costantemente 9 e mi piacevano le lingue straniere. Non potei recuperare i due anni persi, ma mi iscrissi ed arrivai in quinta perfettamente in tempo. In quella scuola trovai la stessa gentilezza dei professori che badavano bene al contenuto di ciò che producevo, piuttosto che alla forma.
Arrivai agli esami di maturità passandoli con ottimi voti.
Le prime pubblicazioni di un papà dislessico
Negli anni portai avanti la mia passione di scrivere. Ho pubblicato diverse opere poetiche, e alla presentazione di una di queste, indovinate chi si fece avanti per una copia autografata? Proprio lui.
Non poteva ricordarsi di me, io sono stato solo uno qualunque, un difetto, un errore, un testardo incapace. Una persona che doveva finire a lavorare subito, perché lo studio non faceva per lui. Un perditempo, un ignorante, uno che non sarebbe mai stato in grado di fare niente di più dei fallimenti successi a scuola.
Mi porse il libro, una raccolta di poesie chiamata “Acerbo”. Presi la penna, senza dire una parola, sorridendogli. Scrissi:
“A volte, anche dalle mele marce possono crescere piante meravigliose”.
Non mi chiese nulla ed io non dissi una sola parola. Non credo che si sia ricordato chi io fossi e sinceramente non m’importa.
La dislessia non è una malattia
Il mio percorso mi ha portato un sacco di sofferenza, ma è servita ad essere più consapevole delle mie doti. Dove c’è una lacuna, ci viene sempre dato qualcosa con cui colmarla.
Dove la gente t’impone un “incapace” sul cuore, noi sappiamo di essere migliori.
La vera ignoranza non è non saper scrivere bene, non saper fare un calcolo a mente, non saper essere coordinati nei movimenti. La vera ignoranza è accorgersi di uno stato particolare di un bambino e non intervenire, non porsi un dubbio, non aiutare. La dislessia non è una malattia.
E’ un dono… per tutti!.
Mauro, un papà dislessico.