La nuova paternità è femminista, è ora di agire

La nuova paternità è femminista, è ora di agire

Un’estate particolare

Questa estate 2020 ormai volta quasi al termine è stata l’estate del Covid19, del distanziamento sociale, dei dispositivi di sicurezza, dei bollettini medici, del risparmio attento, dell’incertezza per il futuro. Al di là di questo grande tema dominante che ha travolto ogni persona che conosciamo, il mondo ha comunque fatto il possibile per andare avanti. Molti di noi hanno creduto – e ancora ci credono – che la pandemia e con essa i sacrifici a cui ci ha costretto, ci avrebbe resi migliori. Attraverso la lente del coronavirus le cose sembrano essere andate in un altro modo. Ecco che dentro questa cornice, fatta di preoccupazione, ansie e paure, restare lucidi è difficile, fare spazio a ciò che è importante è complesso, essere proattivi richiede uno sforzo incredibile.

Specialmente per i genitori. Inutile elencarne i motivi. Sono evidenti. Resta però un fatto: come può l’azione di un padre muoversi su un livello personale efficace (gestione della propria vita, progetto familiare, funzione educativa) e allo stesso tempo incidere sull’aspetto politico della nostra società?

Perché mi pongo questa domanda? Che c’entra con la premessa?

Sono padre e coach e queste due cose condizionano la mia percezione. Il coaching umanistico allena le persone a porsi domande, domande che aiutino non solo a riflette, ma anche e soprattutto ad agire.

E nel mese di agosto mentre imparavo con la mia famiglia a vivere secondo regole nuove, inedite, diverse, non potevo non notare alcune cose. Ho una figlia femmina e un figlio maschio e la pandemia mi interroga ogni giorno sul loro futuro. Ma è proprio così? Il futuro, oggi, è legato solo alla pandemia? Forse dal punto di vista sanitaria, forse dal punto di vista didattico, forse dal punto di vista economico. C’è dell’altro però. C’è sempre stato dell’altro.

Un agosto caldo

Nel mese di agosto si sono susseguiti numerosi fatti di cronaca che hanno attirato la mia attenzione.

Ve ne elenco alcuni, perché insieme danno un quadro incredibile della cultura in cui stiamo crescendo i nostri figli e le nostre figlie. Una cultura che non è stata intaccata da niente. Da nessuna pandemia.

Una tenente della marina militare ha rischiato la consegna di rigore (un provvedimento disciplinare di una certa pesantezza) per aver chiuso un evento con un parata un po’ più moderna. A detta delle gerarchie lei avrebbe offeso il prestigio della Marina, peccato che in rete sono apparsi numerosi video di militari uomini che hanno fatto la stessa cosa e che non sono stati puniti, mentre scrivo è in corso una causa, ma già il fatto la dice lunga sul rapporto di potere tra genere maschile e il genere femminile: se la bravata la fanno i maschietti ci si passa sopra, se la fanno le “femminucce” sono da punire.
La campionessa olimpionica Tania Cagnotto dichiara che non parteciperà ai giochi di Tokio 2020 e gli articolisti (tutti maschi) puntano la narrazione giornalistica sul valore della rinuncia di una “supermamma”, perché una donna questo è, e basta.
Paola Turci e Francesca Pascale si baciano e questa cosa diventa una notiziona, almeno per i media main stream, come se fosse ancora “anormale” un amore, un legame tra due donne.
Nel frattempo il ministro Speranza su twitter annuncia quella che è una bella notizia e cioè che “Le nuove linee guida, basate sull’evidenza scientifica, prevedono l’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico in day hospital e fino alla nona settimana. È un passo avanti importante nel pieno rispetto della 194 che è e resta una legge di civiltà”. Peccato che in tutta Europa questa legge di civiltà era già vecchia di 30 anni. Noi ci siamo arrivati oggi, dal punto di vista normativo, adesso toccherà farla passare nel quotidiano dei numerosi attori in campo.
Una grande direttrice di orchestra Joana Mallwitz viene incensata dal critico Giangiorgio Satragni che la considera così brava da paragonarla a un uomo, come a dire che solo gli uomini (per natura…) sono in grado di raggiungere picchi di talento nella musica classica. E se una donna vuole essere brava, non può essere se stessa, ma emulare la grandezza dei maschi.
E dulcis in fundo il settimanale Gente mette in prima pagina Totti e la figlia di tredici anni di schiena e, nonostante copra gli occhi della minore, titola riferimenti al fondoschiena della bambina paragonandolo a quello della madre. Un settimanale, per fare notizia, mette in vetrina una minore e usa il suo corpo, un canone di bellezza stressante, rovinoso e non richiesto come metro di valutazione di cosa…?

Tutto ciò, che è solo la punta dell’iceberg fotografata dal mio occhio a bassa risoluzione, è accaduto in meno di un mese. Tutto ciò accade quotidianamente.

Donne in pericolo

Tutte queste donne sono figlie. Mi sono chiesto: come si sono sentiti i padri di queste donne?

Quanto è difficile, per una donna, crescere in un mondo altamente sessista come quello in cui viviamo?

Cosa possiamo fare come padri per cambiare le cose?

Il filosofo femminista dice che nasciamo sessisti. Non si scappa. Nasciamo in un contesto che racconta di numerose diversità tra uomo e donna come naturali, mentre invece sono solo un costrutto sociale. Il concetto di maschio e femmina sembra legato sesso (genitali maschili e genitali femminili), ma gli studi di genere hanno ampiamente dimostrato che non è così e che gran parte delle ingiustizie sociali sono legate a concetti patriarcali secondo i quali l’autorità maschile è data biologicamente e in funzione di ciò la donna è percepita come inferiore, fragile, inadatta a svolgere determinati compiti e invece predisposta per “genetica” a svolgerne altri (quelli domestici o di cura).

Questa visione porta a una supremazia maschile che penalizza le nostre figlie.

I dati Istat e i dati della Polizia di Stato parlano chiaro.

L’Istat, in un dossier sul femminicidio (che è un tipo di omicidio che ha come movente il sentimento di proprietà che prova l’uomo nei confronti della donna) segnala che “dall’analisi emerge, soprattutto con riferimento al femminicidio, un profilo “primitivo” circa le modalità dell’omicidio. Facendo riferimento alla brutalità e alla violenza con cui sono stati compiuti.

Invece nel report della Polizia di Stato denominato “Questo non è amore” , con i dati aggiornati al 2019, si contano 88 vittime di violenza ogni giorno: una donna ogni 15 minuti.

Per essere brutale anche io, possiamo affermare che una figlia, ogni 15 minuti circa, viene molestata, denigrata, stolkerizzata, picchiata, violentata, massacrata da un maschio bianco eterosessuale che la considera proprietà privata.

Molti uomini hanno l’impulso di dire “Ma perché non fuggono? Perché non si ribellano? Non denunciano?”. Queste domande però sono inadeguate, perché avvalorano gli stereotipi e i pregiudizi sulle donne. Tendono, queste domande apparentemente innocue, a colpevolizzare la donna per la sua mancanza di forza. Questo è un atteggiamento maschilista. E resta comunque il fatto, come sottolinea Lella Palladino, presidente di “D.i.Re – donne in rete contro la violenza”, che ribellarsi non basta, specialmente per quelle donne vittime dei padri dei loro figli o delle loro figlie:

“Se denunciano tardi il padre violento sono considerate madri poco tutelanti, se denunciato per tutelare i propri figli sono considerate madri alienanti e i figli non vengono affidati alle madri. C’è un arretramento in questo senso. Anni fa non ne parlava nessuno, la violenza era difficilmente riconosciuta e riuscivamo paradossalmente a proteggere di più le donne, nonostante le minori risorse. Ora che se ne parla ed esistono strumenti normativi nuovi, la situazione è peggiorata, per le donne e per i bambini, che non vengono ascoltati. Prima dei diritti dei bambini vengono i diritti dei padri”

Uno stereotipo da combattere

Tutto ciò perché nella nostra cultura il femminile è percepito come inferiore e quindi privo di autorevolezza. Senza contare che la donna è percepita come un oggetto posseduto dall’uomo. Perché ancora oggi le dinamiche relazionali di genere sono centrate su un binarismo (maschio/femmina) che vede l’uomo come colui che lotta, combatte, rischia, si espone, si sacrifica, protegge e usa la sua forza per te, per gli altri, per il destino del mondo e per questa ragione, terminata la “battaglia”, pretende la ricompensa, che si chiama edonismo. Il piacere del cibo, del sesso e della riconoscenza, che in questo caso è ubbidienza da parte della donna.

L’uomo lavora e fa cose importanti, la donna si occupa della casa e deve ringraziare il maschio che le permette un certo stile di vita. Ammettiamolo, cresciamo le nostre figlie come future madri o future casalinghe. Ogni padre vuole il meglio per la propria figlia e sogna un futuro felice e di successo, allo stesso tempo aderendo agli stereotipi di genere, la cresciamo futura casalinga o futura madre, se va bene.

Ogni padre, oggi, al di là se abbia una figlia femmina o un figlio maschio è bene che inizi a riflettere su queste dinamiche. Tutte le volte che le chiamiamo principesse, stiamo raccontando loro che dovranno aspettare un principe azzurro a salvarle, perché non se la sanno cavare.

Ogni volta che ridiamo a una barzelletta che mette in ridicolo una donna bionda e stupida, stiamo mostrando cosa pensiamo delle donne tutte.

Ogni volta che giudichiamo una donna per com’è vestita, per quanti peli ha sulle gambe o se è truccata o meno, stiamo giudicando nostra figlia e le stiamo impedendo di scegliere il suo modo di apparire al mondo.

Ogni volta che vediamo per strada un uomo che fischia, apostrofa o commenta il corpo di una donna e non spieghiamo ai nostri figli che quella è una molestia, stiamo avvallando una cultura che vede le donne come oggetto e non come soggetti paritari.

Ogni volta che a una nostra collega di lavoro spieghiamo una cosa che sa meglio di noi, stiamo adottando un atteggiamento sessista.

Ora arriviamo alla parte più difficile.

Se, caro papà, sei giunto fino a qui, al 90%, forse anche più, sarai un papà consapevole, che fa parte della nuova paternità che si sta costruendo e al 90% starai mugugnando “Beh, non tutti i maschi sono così!” oppure “Io non sono così”.

Beh, perdona la brutalità, non volermene: E quindi?

Il fatto che io e te non siamo così ci rende migliori? O meglio: cambia qualcosa a favore delle nostre figlie?

Secondo me no?

No, perché di papà illuminati ne è piena la storia e il mondo eppure la condizione delle nostre figlie peggiora, invece che migliorare. Anche se viviamo in uno Stato ricco di leggi egualitarie, nella sostanza le donne non ricoprono i vertici delle amministrazioni, delle aziende, dei media eppure sono la metà della popolazione e in percentuale sono più formate (si laureano di più). Dopo il lockdown la fetta più alta di lavoratori che ha perso o ha dovuto rinunciare al lavoro è di sesso femminile, perché sono state loro ad occuparsi della prole, della casa, dell’equilibrio della famiglia, mentre l’uomo è stato correlato solo alla sua funzione economica.

E se anche noi qui non siamo così, il mondo sta costruendo un’altra storia.

Per questo, a mio avviso, dobbiamo unirci, cari papà e sviluppare un’educazione che permetta ai nostri figli maschi di non crescere maschilisti e alle nostre figlie femmine di essere considerate al pari dei loro fratelli.

Per farlo è necessario appoggiare il femminismo intersezionale, educarci noi per primi alla parità di genere e creare una nostra fratellanza che sia alleata delle donne!

Girolamo Grammatico è un life & business coach esperto di comunicazione empatica.
Il suo ultimo libro è #esserepadrioggi – manifesto del papà imperfetto.

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