Non possiamo non pubblicare la bellissima lettera che Angela, una delle due figlie, dedica al papà Fulvio scomparso nel tragico incidente ferroviario di Andria.
Mi sono sempre chiesta cosa fosse la felicità, ma anche cosa fosse il dolore, e mi sono anche chiesta se per comprendere il valore della felicità servisse passare dal dolore.
Non ho mai capito realmente la felicità, un giorno mi posero questa domanda: “Sei mai stata felice?” Non risposi, pensai che questa fosse una domanda difficile e, nonostante io abbia sempre detto di essere felice, non trovavo le parole adatte per spiegarlo, non perché io non lo sia mai stata, ma semplicemente perché forse non credevo che per poter passare dalla felicità fosse inevitabile passare, provare e sentire il dolore, quello vero, che ti spezza in due, che ti sotterra e ti rende debole. Ti rende vulnerabile al mondo.
Credevo di avere il mondo in mano, mi sentivo forte, ma la vita ogni tanto gioca alle nostre spalle, cambiando il corso degli eventi, cambiando le carte.
Ho capito il dolore il 12 Luglio, quando mi son chiesta come fosse stato possibile un evento simile.
Quella mattina per me era una normale mattina, fin quando come mio solito non aprii Facebook e iniziai a leggere di un incidente avvenuto ad Andria, nella mia terra. Ero lontana dai miei compaesani, ma vicina loro con il cuore e subito pensai alla mia famiglia, ai miei parenti chiedendomi se tutti stessero bene.
Sulle prime, non ci diedi molto peso, forse perché in cuor mio non avrei mai voluto sapere la triste e crudele verità, forse perché in cuor mio sapevo che una parte di me sarebbe andata via per sempre.
Ci sentiamo sempre tutti potenti davanti alla vita, ci sentiamo così forti che non ci rendiamo conto di essere davvero deboli. Mi chiedo ora: come si reagisce al dolore? Come posso io trovare la forza di superarlo? Sono davvero abbastanza forte? Come posso andare avanti? Come le persone possono accettare queste morti ingiuste e continuare la loro vita? Come posso superare ed accettare la morte di mio padre, lì, su quel treno, solo per recarsi a lavoro?
Ho purtroppo capito il vero dolore solo quando mi ha toccato in prima persona. Mio papà aveva a cuore la musica, per lui era tutto un mondo da scoprire. La sera, tornato dal lavoro, suonava e in casa lasciava sempre se stesso con quella melodia, con il suono di quelle chitarre che erano una parte fondamentale di lui. Sul treno, su quel treno, è andato via ascoltando musica alle cuffiette che usava sempre. Diceva che prendeva il treno per leggere e ascoltare buona musica, la sua musica.
Mio papà era un sognatore: pianificava sempre la sua vita, cercava sempre di programmare cosa fare, dove andare, non gli piaceva rimanere fermo, voleva sempre organizzare, esplorare e ci diceva: “Io non do fastidio a nessuno se organizzo, organizzo perché la vita va vissuta”.
E aveva tremendamente ragione, la vita va vissuta, ma ora come? Mio papà era un grande uomo, pieno di cultura e di voglia di fare, di conoscere, di studiare. Parlava tanto della storia, gli piaceva raccontarci il mondo e tutto quello che sapeva, ha sempre cercato di darci il massimo, di farci sapere il massimo, ci ha sempre insegnato i veri valori, quelli giusti da seguire.
Mio papà amava viaggiare: ci ha fatto esplorare tanti posti al mondo, preferiva i viaggi alle feste, preferiva portare noi insieme e passare giorni con noi, condividendo amore con l’amore della sua vita, Emma, mia mamma, e con me e Natalìa, mia sorella, di cui andava fiero.
Mio papà amava la fotografia: immortalava i momenti che più gli piacevano, gli piaceva rivivere i suoi momenti guardando le foto, credo che attribuisse un significato ad ogni scatto. In quelle foto è racchiuso tutto il suo lui.
Mio papà amava la tranquillità e lo sentirò nel vento della sua amata montagna, amava il mare e lo sentirò nel rumore delle onde del suo, del nostro mare, il mare salentino, quello che a lui piaceva tanto; amava giocare a tennis, amava scherzare e superare tutto con positività, amava noi e io lo sentirò sempre vicino, sempre accanto a me, a noi.
Non so ancora rispondere alle domande che mi son posta, non so bene come affrontare la situazione, ma tutto questo mi ha insegnato una cosa importante che mi porterò dietro per tutta la vita: la morte non ci toglie le persone care, ma ci insegna a conoscerle.
Ho avuto la fortuna di conoscere e vivere Fulvio, il poliziotto rockstar, il poliziotto sognatore, e ora lui ha lasciato nelle mani mie, di mia mamma e di mia sorella il compito di continuare a vivere come lui avrebbe fatto.
Lui è con noi. Sa che siamo pronte.
Questa dedica d’amore è per Fulvio Schinzari , dirigente dell’Ufficio personale della questura di Bari e papà formidabile.
Fonte Odysseo.it