Nell’era digitale è venuta a mancare una bella lettura serale, sostituita tristemente dalla ricerca in internet dell’outfit perfetto o del pettegolezzo sul vip del momento.
Tutto ciò ha creato un vortice di disinformazione, creando una regressione generale, a cui solo gli account social con scopi utili riescono a sopperire.
Dopo aver lanciato l’hashtag #LaVoceDeiPapà, mi sono imbattuta nel sito di Superpapà, piattaforma dedicata all’evoluzione della figura paterna, messa in una posizione attuale di discussione a causa di una ripartizione di ruoli genitoriali diversi, fortunatamente, rispetto al passato.
Gli uomini di oggi, che vogliono fare parte attivamente della propria famiglia, vengono apostrofati con termini che rimandano a una classificazione ancor più netta di coloro che li pronunciano.
Il femminismo
Da una parte abbiamo il femminismo più accanito, che considera i padri come esseri inutili e incapaci, e dall’altra ci sono pensieri che risalgono al medioevo, che vedono la donna un’eterna Cenerentola dedita solo alla casa, e l’uomo seduto al bar a favorire l’imbarazzo di un nucleo familiare chiuso nell’ombra dell’ignoranza o peggio ancora come un lavoratore egocentrico ed egoriferito.
Un marito partecipe
Quando mi guardo intorno, nonostante le innumerevoli imperfezioni mie e della mia famiglia, realizzo di essere moooolto fortunata.
Sono la moglie di un papà che tutte le mattine, prima di andare a lavorare, svuota l’asciugatrice e piega i vestiti.
Spesso, dopo cena, mentre guardo la televisione con i nostri tre figli, lui carica la lavastoviglie e poi porta a letto la più piccola.
Il fine settimana, quando è a casa, passa l’aspirapolvere e sistema il caos creato dai bambini.
Ha realizzato un impianto che consente partenze automatiche di luci, riscaldamento, acqua e musica. Trova i rimedi migliori per il risparmio energetico. Svuota la mia borsa da scontrini e carte varie (sì, sono senza speranze).
Quando dimentico di scongelare la cena, corre in pizzeria senza farmelo pesare. Mi incoraggia a raggiungere i miei sogni. Non li ha mai considerati inutili.
La Depressione post partum
Era presente mentre la depressione post partum mi faceva a pezzi. Ed è stato sempre lui a suggerirmi di andare da una psicoterapeuta per rimettermi in sesto.
Quando ho scelto di curarmi con i farmaci, all’inizio non riuscivo a rintracciare lo psichiatra, e lui si è fatto in quattro per fissarmi l’appuntamento nel più breve tempo possibile.
E’ rimasto quando in tanti sarebbero andati via, perché la mia malattia è cronica. La dovrò controllare per tutta la vita.
E quando sono tornata ad essere io, non ha mollato la presa. Ha compreso ancora di più l’importanza di sostenermi e darsi da fare.
Le reazioni
Nel tempo, riferendo casualmente a conoscenti e amici il nostro essere l’uno per l’altra, mi sono sentita dire le frasi più svariate.
Le donne
“Ti invidio tuo marito.”
“Beata te. Mio marito non muove un dito.”
“Ma davvero?!”
“Sei proprio fortunata. Quel troglodita di mio marito non riesce a cucinare un uovo fritto.”
“Mio marito mi dice che non sono capace di fare niente, ma lui non muove un dito.”
“Ma non ti dà fastidio che faccia le cose al “posto tuo”?”
“Non c’è niente da fare, gli uomini sono degli incapaci. Almeno il mio lo è.”
“Il tuo uomo è una femmina mancata.”
“Bene. E’ così che si trattano gli uomini.”
“E’ giusto che i papà “collaborino”.”
“Lui non capisce che sto male.”
“Mio marito sminuisce la depressione. Pensa che non abbia bisogno di parlare con “qualcuno”, perché sono soldi buttati.”
“Ai miei tempi i papà non li prendevano neanche in braccio i bambini, figuriamoci cambiargli un pannolino.”
Gli uomini
“Che cosa?” – Detto con aria di meraviglia e disgusto.
“Ma lui è uno in gamba.” – A sottolineare che è migliore di me.
“Ah, io non so fare niente.” – Quasi con orgoglio.
“La domenica mattina io esco con i bimbi e lei resta a casa a pulire.”
“Hai visto la Juventus??….”
Interscambiabili mantenendo la propria identità
Mi sento favorita dalla sorte soprattutto perché sono nata in un’epoca in cui tutto ciò può diventare plausibile anche se ancora non lo è.
Il nostro, quello del papi ed io, non è un matrimonio perfetto. E non è sempre stato così.
Questo essere più o meno alla pari è venuto con il tempo.
Siamo tutti figli di un’altra generazione, e anche noi tendiamo ad avere ruoli prestabiliti, ma cerchiamo entrambi di migliorare attraverso il dialogo, perché credo che alla fine si tratti principalmente di parlare delle necessità di entrambi e avere la mente aperta ad accogliere l’altro.
Non è detto che debba esserci necessariamente interscambiabilità, ma magari è possibile avvicinarsi ad essa senza perdere la propria identità.
A volte pretendiamo il bianco o il nero senza tenere conto che ognuno di noi viene da un certo tipo di educazione e che con questa bisogna fare i conti.
Lo realizziamo quando nasce un figlio. Sappiamo cosa vogliamo tramandargli di noi e cosa no. E’ così anche nella nostra propensione alla presenza in famiglia.
I neuroni a specchio hanno la funzione di riprodurre il comportamento altrui. Lo abbiamo fatto di conseguenza anche noi con i nostri genitori. Quindi non è il caso di pretendere sforzi sovrumani, ma solo piccoli passi verso equilibri migliori.
Contro gli stereotipi
E poi, fatto ancora più importante: i papà che invece già riescono a dare il massimo in famiglia con dolcezza e amore non sono mammi.
Le mamme che vogliono la loro libertà non sono #mammedimerda.
Siamo figli anche noi. Concediamoci di essere ciò che più desideriamo.
I giudizi lasciamoli a chi li profferisce.
Abbiamo altro da fare. Dobbiamo crescere le persone del domani con esempi positivi.
Quindi, cari papà, avanti tutta così. Riscattate generazioni passate e lanciate in alto, come stelle luminose, quelle del futuro.
Lucia Anita Iuliano (Calabria, 1982) è laureata in Biotecnologie molecolari e industriali. Vive a Pisa (per il momento) ed è mamma di tre bimbi. È autrice del Blog MammaMiaCheViaggio.com da cui, dal 2018, ha iniziato a realizzare alcuni progetti, attivi su Instagram e Facebook, a sostegno di mamme e papà che soffrono di depressione post-partum.
"Una parola per le mamme" è la sua prima pubblicazione, un contenitore in cui tutte le mamme possono dare voce alle paure e al sentirsi inadeguate di fronte a standard utopici di una società ancora troppo giudicante e ricca di stereotipi. È il tentativo incessante di evitare che altri figli perdano le loro madri, e che altre mamme perdano le loro figlie per un male che si può curare o almeno tenere sotto controllo.