Figli e smartphone: tra dipendenza e convivenza

Figli e smartphone: tra dipendenza e convivenza

Dipendenza da smartphone: l’importanza nell’educare i figli ad un uso moderato dei dispositivi digitali sin dai primi mesi di vita. 

dipendenza smartphone

Nel settembre 2020 Netflix rilascia un documentario intitolato The social dilemma. Lo ha fatto nei mesi di intervallo tra un lockdown e un altro, in cui paradossalmente ai dispositivi digitali eravamo più o meno appesi tutti, chi per lavoro, chi per intrattenimento. Lo aspettavo con ansia, quel documentario. Non mi ha rivelato qualcosa di nuovo, ma quanto meno ha segnalato il problema della dipendenza degli utenti dai dispositivi digitali e ha trattato alcune meccaniche del rapporto tra individui e macchine. In particolare, si è occupato dell’evoluzione di quel rapporto. Ora che le macchine assumono l’aspetto di smartphone, tablet e smart watch, insomma: dispositivi che ci trasciniamo addosso dalla mattina alla sera, senza i quali non usciamo di casa. 

Non mi piace adottare il punto di vista di chi la vede come una “battaglia” tra noi e loro; si tratta semmai di una convivenza. E quel che affascina sono proprio le modalità di interazione. Attraverso le parole di Jaron Lanier, informatico e filosofo della Silicon Valley, il documentario descrive una realtà che ci riguarda tutti, genitori e figli: 

Il prodotto in palio sui media digitali è il graduale,
lento e impercettibile cambiamento
delle nostre percezioni e comportamenti.

Significa che dall’altra parte del nostro schermo si trova qualcuno che sta provando con ogni mezzo a rapire la nostra attenzione il più a lungo possibile e poi chiederci di agire. 

Come papà possiamo ignorare ancora a lungo queste lusinghe e richieste? Soprattutto: possiamo chiudere gli occhi di fronte al fascino che queste esercitano o eserciteranno sui nostri figli?

Dipendenza da smartphone: due regole base

Primo passo per i primi mesi: guidare con l’esempio

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Quando osserviamo i nostri pargoli perdere il senso della realtà e del tempo con gli occhi ingoiati dallo schermo di uno smartphone, velocissimi a scorrere e ingrandire fotografie o digitare tasti, spesso ci chiediamo: ma dove l’ha imparato? 

Nei primi mesi i figli ci copiamo la mimica, cacciandoci una boccaccia inaspettata nel mezzo di un pranzo in famiglia, ma tra i 19 e i 24 mesi ci copiano azioni e gestualità ripetute. Lo fanno anche per sentirsi parte di un gruppo, identificarsi in una comunità; non sono però consapevoli se ciò che imitano “vada bene, oppure no”. Sta a noi padri insegnare loro che esiste un limite. Capiamo così l’importanza nell’educarli ad un uso moderato dei dispositivi digitali sin dai primi mesi di vita; se per primi consultiamo il cellulare ad ogni occasione in cui siamo in presenza dei piccoli, questi non possono che crescere con la curiosità smodata per cosa si nasconde dietro lo schermo, e con l’avidità di possedere un dispositivo tutto loro. Da qui la possibilità di sviluppare una dipendenza da smartphone.

Cosa fare?

Alcuni consigli? Anzitutto non nascondiamoci dietro il falso mito: “è ancora piccolo, cosa vuoi che possa ricordare…”, ma piuttosto prendiamo alcune precauzioni da subito e fissiamo delle regole d’uso comuni sin da quando i figli arrivano in famiglia. Non significa abbandonare il cellulare fuori dalla porta ad ogni ritorno a casa, sia chiaro, ma avere la consapevolezza che il nostro comportamento diviene paradigma e modello anche per nostro figlio. Probabilmente qui si trova la più grande sfida dell’essere genitore nell’epoca dell’interconnettività assoluta: ci siamo anche noi papà dentro a quella grande rete di nome internet. Ci navighiamo con profili social di ogni genere per alcune ore della nostra giornata; significa che la rete ci attira profondamente e che forse dovremo lottare contro le nostre stesse dipendenze. Siamo destinati a commettere degli errori, ma cerchiamo di essere pronti a parlarne. Per il resto, proviamo a sforzarc.; Allora dimostriamo che il contatto visivo e l’attenzione costante sono più importanti della risposta al ronzio che proviene dallo smartphone o dalla vibrazione impercettibile che arriva dallo smart watch. Se ci sentiamo costretti a rispondere ad uno stimolo digitale e siamo in presenza di nostro figlio, comunichiamo per quale scopo lo stiamo assecondando.

Secondo passo: inutile proibire, meglio accompagnare

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Fino all’indipendenza economica, un figlio necessita del nostro portafoglio per ottenere oggetti e servizi di un certo valore. Tradotto: smartphone e tablet non se li può procurare in autonomia, nella stragrande maggioranza dei casi. Al solito, questo consegna nelle nostre mani di genitori un potere di scelta implicito. Nella vita quotidiana mi confronto con coppie di genitori che si riversano sulle due vallate dell’annosa questione: “lo smartphone glielo faccio vedere ai 18 anni!”, oppure: “lo smartphone glielo mostro sin dai 3 anni, perché almeno al ristorante posso godere di un po’ di pace, mentre mangio con gli amici”. Non ho la presunzione di poter insegnare qualcosa circa l’educazione di un figlio, ma osservo e studio le infinite possibilità che quel dispositivo regala all’utente e ne analizzo il potere seduttivo; la mia personale opinione è che l’attrattività di quella “mela” è elevata: quanto prima la facciamo assaggiare, tanto prima ce ne verranno a chiedere ancora!

Sono dell’opinione che padri e madri non possano, e nemmeno debbano, impedire che l’uso dello strumento avvenga: credo siano chiamati a mediarlo in modo consapevole, almeno finché il figlio non sviluppa le sensibilità necessarie per affrontare il mondo online in modo autonomo. Perché di questo si tratta, come sempre nell’educazione: di fornire gli strumenti adeguati per affrontare l’esperienza al meglio evitando la potenziale dipendenza da smartphone. 

Dipendenza da smartphone: alcuni rimedi

Costruiamo un parallelo con l’utilizzo di un’autovettura. Siamo tutti al corrente che l’incidente d’auto possa essere mortale, eppure per questo non smettiamo di affidare l’auto a nostro figlio, quando l’età lo permette. Ci preoccupiamo piuttosto che abbia un’infarinatura delle regole di circolazione su strada, e che abbia una minima esperienza d’uso di volante, cambio e pedali. Quel che rende l’esperienza dello smartphone più complessa è che le competenze richieste per poterlo usare in modo informato sono molte; forse troppe per un individuo di 13 anni. Cerchiamo allora di scambiarci alcuni rimedi. 

Regole stabilite o condivise

Dopo che abbiamo fornito i nostri figli del primo smartphone, un intervento importante corrisponde nel procurare alcune regole di utilizzo, perché un dispositivo capace di connettersi con le fonti di comunicazione e produzione di contenuti di tutto il mondo non è esattamente un gioco qualsiasi. 

In occasione del Natale 2012 una mamma americana ha regalato al proprio figlio tredicenne il primo iPhone, accompagnato da una lettera in cui esponeva diciotto regole d’uso. Lo faceva col tono della mamma autorevole, ma consapevole dell’importanza del passo. Non discuto la bontà delle regole in sé, ma apprezzo che il regalo sia stato accompagnato da una presa di consapevolezza.

Un approccio diverso può mirare invece a coinvolgere i nostri figli nel processo di creazione delle regole d’uso del cellulare. In questo caso il genitore può esporre alcune preoccupazioni e perplessità (es. in merito alla dipendenza che lo smartphone può esercitare), il figlio le esigenze e obiettivi che gli rendono così fondamentale il possesso del dispositivo (probabilmente la necessità di sentirsi inserito in una rete di contatti e relazioni che altrimenti sembrano precluse). Il dialogo e la condivisione possono aiutare i più piccoli a fidarsi della guida degli adulti, ma anche condurre ad un brainstorming circa le soluzioni che si possono adottare insieme.

L’esperienza d’uso condivisa

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La condivisione dovrebbe il più possibile riguardare anche la vera e propria navigazione dell’utente, soprattutto nella fascia d’età tra 13 e 16 anni; di questo noi genitori sembriamo non accorgerci. Siamo cresciuti con l’esempio di padri e madri che ci chiedevano “Com’è andata oggi a scuola?” al rientro a casa. Eppure non ci entra in testa che oggigiorno l’esperienza scolastica non si ferma a quanto accade tra i banchi o in palestra. E allora cominciamo a introdurre la domanda: “Com’è andata oggi online?”. Se davvero, in alcuni casi, siamo preoccupati dal vissuto digitale, porre il quesito significa mostrare anzitutto che non ignoriamo la questione o la nascondiamo sotto lo zerbino, sperando che da essa mai esca qualche problema. D’altro canto mostriamo anche di accettare che la dimensione digitale rappresenta per i nostri figli un palcoscenico importante, in cui oggi si effettuano incontri, domani si svolgono attività anche lavorative.

Proviamo anche a sostituire le domande inadeguate, come: “Ti piace quel gioco/app?” in altre che recitano: “Come ti fa sentire quel gioco/app?”. Solo così poniamo l’attenzione sull’influenza esercitata dall’esperienza in oggetto, sia questa una di intrattenimento, una di incontro, una di interazione.

Inoltre la condivisione può spingersi a definire lo spazio d’utilizzo dei dispositivi digitali non portatili, come il computer, che non dovrebbe entrare nella camere di un tredicenne, piuttosto rimanere installato in un ambiente di passaggio, disponibile all’uso del figlio, ma anche del genitore. Questa scelta lancia un messaggio concreto: non ci dovrebbe essere nulla di oscuro e poco trasparente nell’utilizzo di un’identità digitale e nelle azioni che compie online. 

L’organizzazione delle alternative per evitare la dipendenza da smartphone

Teniamo poi conto di come è costruita l’esperienza interattiva che offre lo smartphone: l’utente accede allo schermo e con rapidi tap delle dita può trovarsi in connessione con altri utenti della città, regione, nazione o mondo. Oppure può venire risucchiato da un videogioco che lo catapulta a scontrarsi con giocatori che frequentano la sua stessa classe; ancora, può trascorrere momenti piacevoli ad ascoltare musica di ogni genere, piuttosto che a scorrere video di intrattenimento o cultura. I contenuti e l’apporto sociale attorno ad essi rappresentano un’esperienza piena; per evitare che i nostri figli decidano di sacrificare ad essa la maggior parte del proprio tempo, dobbiamo essere in grado di proporre loro esperienze alternative dallo stesso appeal

Alcuni paragonano il tempo a disposizione dei nostri ragazzi ad un bicchiere vuoto, da riempire con quanto di essenziale: sonno per crescere ed evitare di ammalarsi, tempo dedicato all’istruzione e allo studio, tempo da trascorrere all’aperto per giocare e socializzare, tempo per sedersi davanti ad un pasto e discorrere coi familiari. 

A tutti questi momenti, per dirla con le parole di mia suocera, ne aggiungiamo uno forse tra i più snobbati dalla società odierna: il tempo per la noia. Si tratta di quegli attimi in cui la mente rimane disimpegnata da attività cognitive stimolate da processi esterni e risulta importante per il recupero delle energie mentali o per lo sviluppo di nuove idee. Affine ad esso, consiglio sin da piccoli di attribuire importanza alle attività di ricerca del sé, come la meditazione.

Una volta sommate tutte queste attività, con le loro relative durate, il tempo rimanente può essere utilizzato per le esperienze costruite tra le mura virtuali di uno smartphone o tablet.

In alcuni casi: astinenza

Qualcuno che reputo molto saggio mi ha insegnato che per sfuggire al “male” di vivere che ci tedia oggi, dovuto al continuo stress di raggiungere l’aspettativa, non c’è modo migliore che staccarsi, periodicamente. Da tutto, o quasi. Pensiamo a quanto questo possa essere importante nel rapporto con la tecnologia e la sua capacità di crearci dipendenza da smartphone.

Se ci pensiamo bene, alcune attività ci impongono un distacco da molti legami col mondo esterno e lo accettiamo senza la minima replica: pensiamo alla pratica dell’attività sportiva agonista di uno sport di squadra, in cui la mente si disconnette dalle ansie esistenziali con enorme facilità, e lo stesso fa nei confronti della tecnologia. Oppure pensiamo ancora ad una sessione intensa di gioco da tavola. 

Anche i nostri ragazzi vivono questo tipo di esperienze, ma lo fanno fuori dai contesti domestici, perché per più motivi risulta più semplice. Vivere invece gli spazi domestici e sottostare ad una qualche forma di “astinenza” è più difficile da digerire. Eppure, come papà, possiamo provare a proporlo. 

Ad esempio, durante il pranzo o la cena di famiglia, possiamo pensare di lasciare i nostri dispositivi fuori dalla cucina o sala da pranzo in una conversazione in famiglia; oppure possiamo scegliere che durante un giorno della settimana prefissato il cellulare rimanga chiuso dalla mattina alla sera, secondo una regola condivisa da tutta la famiglia. Mi rendo conto: quest’ultima è tosta, lo so. Se non ce la sentiamo di chiedere un sacrificio così grande, valutiamo di introdurlo per le ore che precedono ogni giorno il momento del sonno; alcune ricerche evidenziano gli effetti dannosi dell’esposizione alle particolari radiazioni degli schermi dei dispositivi digitali. 

Dipendenza da smartphone: i rimedi “tecnici”

Se non siete comunque soddisfatti, vi consiglio di osservare cosa propone lo smartphone dal punto di vista delle sue funzionalità.

Le notifiche

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Le notifiche vengono visualizzate in punti rossi, perché questo è un colore che attiva l’attenzione e distoglie dalla concentrazione del momento. Se ci pensiamo bene, la maggior parte di queste sono generate da software, non da persone reali; le notifiche che riceviamo dall’app di home banking, oppure dall’app del cinema vicino a casa sono segnalazioni inviate secondo algoritmi di comando e continuano a far vibrare i nostri telefoni per attirarci in app su cui non abbiamo davvero bisogno di prestare attenzione.  

Un consiglio per voi e vostro figlio? Visitate le impostazioni del vostro smartphone e disattivate notifiche, banner e badge di questo tipo di app. Potete fare un’eccezione per le app in cui sono persone reali a desiderare la loro attenzione, come quelle di messaggistica istantanea (Telegram, WhatsApp, FB Messenger, Signal, ecc.). Anche in questo caso, siate attenti al comportamento che adotta vostro figlio: se è perennemente immerso in qualche conversazione via chat, forse si può adottare qualche soluzione anche a tal proposito.

Tonalità di grigio

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Le icone dipinte di colori sgargianti inviano al nostro cervello un segnale di “ricompensa” ogni volta che sblocchiamo lo schermo dello smartphone;. Di fatto, quei colori sono probabilmente la prima caratteristica che rende attraente il nostro cellulare, che ci spinge a prenderlo in mano e consultarne lo schermo, in attesa di una ricompensa casuale (per esempio, un nuovo messaggio ricevuto, un nuovo post pubblicato su Instagram da qualche conoscente, ecc). 

Se desiderate abbassare il livello di attrattività, vi consiglio di impostare i toni dello schermo sulla scala di grigi, così da rimuovere quei rinforzi positivi; l’ho suggerito a più di qualcuno, e l’effetto è stato di abbassare il numero medio di attivazioni dello schermo.

Rinunciare alle APP di social network

Nei casi in cui ci rendiamo conto che nostro figlio è completamente scivolato nella spirale di dipendenza da smartphone e di consumo di social, esiste un rimedio radicale, ma efficace: rimuovere tutte le principali app di social network dal telefono e allenarsi ad utilizzarle solo da computer. Inutile nascondere come queste piattaforme divorino facilmente la maggior parte del nostro tempo libero; la soluzione può renderne meno semplice l’accesso. 

Per i giovani e gli adolescenti, questo intervento diventa più efficace se affrontato in gruppo; sarebbe utile presentarlo come una sfida: “Prova a eliminare l’app di instagram per una settimana…  vediamo se sei capace!” 

Il genitore accompagna, sempre

credits

Il genitore accompagna il figlio ad affrontare tante prime volte: lo fa quando il piccolo siede per la prima volta dietro ad un banco di scuola, quando la prima volta entra in una palestra di judo per allenarsi, o in un campo da calcio di periferia per tirare i primi calci al pallone assieme ad una squadra. Il genitore prende per mano perché vuole traghettare verso la vita fuori dalle mura casalinghe; nel farlo, osserva i volti dei compagni di viaggio, realizza quanto sarà dura o divertente una nuova sfida. Il genitore ha questa naturale funzione di accompagnare verso gli spazi nuovi, in definitiva; e oggi i media digitali rappresentano degli questi spazi nuovi per eccellenza, fatti di esperienza, comunicazione, avventura. 

Lo ripeto: salvo scelte di vita radicali, in cui si decide di far crescere il piccolo al di fuori di comunità istituzionali di riferimento, risulterebbe difficile chiedere al proprio figlio di rimanere ai bordi del parco giochi in cui si stanno divertendo tutti. Ma davvero desideriamo che varchi la soglia di questo spazio immenso tutto da solo?

Massimo Melchiori
Marito e papà che ama comunicare e osservare come gli altri comunicano. Camminatore instancabile e affascinato da meditazione e Yoga. Ha l’enorme fortuna di poter essere Professore a contratto e formatore aziendale in web communication e Marketing relazionale e digitale. Educatore all’uso consapevole dei media digitali con il privilegio di poter aiutare i più giovani ad avviare una propria attività professionale come Dottore Commercialista.
www.socialwarning.it

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