Raccontare e raccontarci i significati della vita
Alzino la mano quei genitori a cui non piace raccontare o leggere le favole ai propri bambini, prima di andare a dormine o in un periodo di relax.
E quanti bambini adorano quei momenti di intima condivisione con i propri genitori?
Le favole, o più in generale, le “storie” che leggiamo o raccontiamo ai nostri bambini sono eventi in forma narrativa che legano insieme una molteplicità di significati possibili su fatti, situazioni (piacevoli o sgradevoli, buffi o ordinari) che ogni persona incontra nella vita quotidiana.
La più grande fra le mie tre bambine adora le storie delle principesse (dalle classiche Biancaneve e Cenerentola alle moderne protagoniste di Frozen, passando per l’anticonformista Pocahontas).
Pensateci un attimo: le più “antiche” fra queste storie hanno significati stereotipici per i quali la principessa diventa tale solo quando incontra il “principe azzurro” che la nobilita. In tempi più recenti le principesse sono valorose condottiere, autorevoli leader di popolazioni lontane, padrone del proprio e dell’altrui destino. Il mondo delle favole costituisce uno dei primi strumenti di comprensione della realtà disponibile ai bambini: nei racconti loro facilmente riconoscono (e si riconoscono in) l’eroe, la principessa, il buono, il cattivo; (si) collocano in un periodo storico, in una location (fra il castello incantato e la casetta nel bosco), utilizzano metri di misura familiari per relazionarsi con l’esterno e criteri di paragone per immedesimarsi di volta in volta in ruoli differenti e riconoscere gli stessi ruoli negli adulti che li circondano.
Essere protagonista di una storia (di una favola) è una cosa seria… vuol dire rappresentare un modello con tutti i significati annessi.
Per questo motivo, ogni volta che iniziamo con “c’era una volta” avviamo una narrazione su uno o più significati possibili di percorsi di vita fantastici, lontani ma molto – drasticamente – vicini alle vite dei nostri bimbi che ascoltano, riflettono, si immedesimano in quello che ascoltano.
Non si tratta soltanto di valori: amicizia, amore, lealtà, sincerità, pace universale… si tratta di veri e propri modelli di vita, consuetudini e convenzioni.
Ogni storia è una narrazione che possiamo scegliere di raccontare a noi stessi e agli altri su ciò che ha costituito una esperienza passata e che, a seconda della chiave di lettura che vogliamo dargli, informerà la nostra esperienza futura?
I poveri “lupi cattivi” che fanno succulenti bocconcini di maialini (ops… “porcellini”, tre esattamente), di nonne e nipotine di rosso vestite non hanno nulla a che fare con quelli che due mesi fa abbiamo visto dormire beati al Bioparco di Roma. Proviamo quindi a immaginare una storia alternativa del povero lupo depresso perché tutti i bambini che incontra gli danno addosso chiamandolo “lupo cattivo”… e avremo creato un altro filone interpretativo, originale con significati nuovi e inattesi!
È estate, siamo al mare: una medusa, una barca a vela e un aquilone sulla spiaggia: pochi elementi, un scenario/contesto in cui collocare eventi, obiettivi, azioni e significati:
la povera medusa che per difendersi dagli aggressor ha imparato a secernere una sostanza urticante stanca di essere vituperata da tutti… alla fine dei conti lei è bella, colorata, una delle regine del mare… è anziana vorrebbe starsene tranquilla alla deriva a prendere il sole, magari su una bella barca a vela. Vede un aquilone nel cielo: “sì, lì sì che starei tranquilla!” ma cosa succede se prendete una medusa, la portate fuori dall’acqua e la esponete al sole? In brevissimo tempo perderà, il 90% del suo corpo fluido, rimarranno solo i colori rinsecchiti sulla sabbia. Morale della storia? Attenzione e rispetto per gli animali marini, etc. etc, etc.
Tempo fa lessi un libro di Gavazzani e Calvino (2004, Competenze comunicative e linguistiche. Aspetti teorici e concezioni evolutive. Angeli, Milano) in cui affermano: “Alla base dell’interesse sempre più diffuso per la narrazione vi è l’assunzione condivisa che raccontare storie, sia di finzione sia riferite a eventi personalmente vissuti, costituisca un potentissimo strumento culturale al servizio delle numerose interazioni interpersonali della vita quotidiana”. Le storie “inventate” in base a eventi a cui partecipiamo e quelle con finali aperti hanno anche un’altra funzione: alimentano la fantasia e con questa la capacità di pensare criticamente alla propria esperienza.
Inoltre, ciò che viene costruito attraverso la narrazione non è solo una rappresentazione degli eventi, ma una vivificazione dell’esperienza personale delle persone. E tale costruzione ha una valenza culturale, nel senso che fa riferimento a canoni interpretativi condivisi e consensuali.
Quando raccontiamo favole, miti, leggende… spalanchiamo mondi che non appartengono solo alla fantasia, ai racconti della buona notte, come siamo forse abituati a pensare. Ci addentriamo bensì nel cuore delle storie dell’umanità, delle biografie del mondo e delle auto-biografie dei suoi abitanti. Ogni storia è a sé, è leggermente diversa, è frutto della creatività di un singolo o di un popolo. Soprattutto: ogni storia può essere scritta e letta di nuovo da un punto di vista diverso, può venire modificata e assumere sfumature che gettano su di lei e sugli autori luci e sguardi che prima non c’erano, potenziali generatori di nuove storie…e così via: le narrazioni possono creare nuove realtà ed edificare ponti di significato inesistenti prima.
Una delle più classiche favole di principesse è anche un cartone animato che appassiona (ad oggi) almeno 3 generazioni di “piccole principesse, Cenerentola. La sfortunata (all’inizio della storia) ragazza che tutti conosciamo, che trova svolta alla sua esistenza dopo aver pervicacemente perseguito l’obiettivo di partecipare alla festa di ballo organizzata per trovar moglie al principe di turno, con i mille ostacoli frapposti dalla matrigna e dalle sorellastre (vogliamo parlare dei significati per i bimbi che vivono in famiglie ricostruite?!), con un tocco di magia (un tocco… pare facile trasformare cani randagi, una zucca, un gruppo di topi in un mezzo di trasporto avveniristico e full optional!). Insomma, tutto ciò è… originariamente un mito cinese, una storia nella quale il “valore” del piede piccolo è simbolo di bellezza e nobiltà d’animo.
E si potrebbe proseguire a lungo, ma più che la teoria può essere più interessante “praticare” le storie, ogni sera quando mettiamo a dormire i nostri bambini.
Eugenio De Gregorio