Il senso della musica per i nostri figli

Il senso della musica per i nostri figli

Ho chiesto a Mirko Cafaro, autore del bellissimo pezzo sullo smartworking, di raccontarci quale sia il senso della musica per i nostri figli. Ecco il suo racconto.

Nuovo Cinema Paradiso

Ero un bambino quando mio nonno, appassionato di film e collezionista di VHS, noleggiò dalla videoteca di fiducia (la catena di “Blockbuster” era ancora di là da venire in Italia) un film dal titolo tutt’altro che di facile comprensione, almeno per un allora 5 o 6enne: “Nuovo Cinema Paradiso”. Fermi tutti. Se ve lo steste chiedendo, il film uscì nelle sale nel 1988 e in VHS probabilmente uno o due anni dopo. Sì, la precisazione è d’uopo perché solo citando le parole “VHS”, “videoteca”, “Blockbuster” e mettiamoci pure “d’uopo”, ho il sospetto di avervi costretto a un triplo salto carpiato all’indietro che, a dispetto del gesto atletico (virtuale), vi avrà fatto sentire… come dire, meno giovani? Meglio vintage. Perché il vintage, si sa, non passa mai di moda. Ok, la smetto di divagare e arrivo al punto.

Nuovo Cinema Paradiso”, dicevamo. Ho un vago ricordo della trama, se non a grandi linee, e confido di essere andato a rileggerla proprio mentre ne sto scrivendo. Ben più nitide, però, sono le evidenze di quello che mi colpì: dalle ambientazioni, in quell’Italia meridionale post-seconda guerra mondiale, ai colori, alle espressioni della gente, a quell’accento (siciliano) che non sempre mi permetteva di comprendere tutto quello che veniva detto. Ancora di più, però, a colpirmi fu la colonna sonora.
Sì, insomma, la musica – perché a quell’età è difficile avere contezza di cosa sia una colonna sonora – che rendeva ancora più magiche e coinvolgenti alcune scene della storia raccontata dal regista Giuseppe Tornatore.

Emozioni inattese

Una melodia che riusciva a farmi emozionare e stranire al tempo stesso. Scavava dentro, toccava le corde più intime e in un certo senso provocava una sorta di cortocircuito emotivo. Non capivo infatti come riuscissero quelle note a indurre sensazioni così contrastanti: da un lato mi cullavano con suoni e vibrazioni soffici e delicate, dall’altro trasmettevano un velo di profonda tristezza. Malinconia, forse nostalgia potrei definirle oggi, ma da bambino cosa potevo saperne? Mi commuovevo, sentivo gli occhi riempirsi di lacrime, ma le nascondevo e rispedivo al mittente la forza di quel magone proprio perché imbarazzato dalla circostanza di non comprendere a pieno ciò che stava accadendo.

È stato forse quello il primo vero contatto con l’arte e la sua potenza evocatrice. In un colpo solo avevo scoperto il cinema, i film e che potessi appassionarmi a una trama e a uno svolgimento lungo più di due ore senza che sul video scorressero le immagini di un cartone animato. E il merito era anche, forse soprattutto, di quella musica e della fusione che riusciva a creare innestandosi sul montaggio, le immagini, i dialoghi, le espressioni dei protagonisti. Quella melodia – e l’ho scoperto solo tempo dopo – era nata dal genio di Ennio Morricone. Inevitabile ripensarci oggi, a pochi giorni dalla scomparsa del maestro, soprattutto rileggendo alcune delle sue parole e delle citazioni più celebri rilanciate dai media e sui social.

Quello che non si vede e non si dice

“La musica nel cinema è quello che non si vede e quello che non si dice”, sosteneva il compositore, musicista, direttore d’orchestra, arrangiatore e Premio Oscar scomparso all’età di 91 anni. Un ingrediente discreto, proprio come Morricone è stato in vita e anche al momento dei saluti (con la scelta di un funerale in forma privata “per non disturbare”), ma imprescindibile.
Un elemento essenziale che mette in moto i sensi: spesso si può ascoltare in maniera distratta, o non ascoltare per niente, ma basta un piccolo impulso per attivare immagini, ricordi, carezze inattese o pugni nello stomaco.

Immersi nei suoni

Del resto, siamo immersi nella musica e nei suoni sin dal concepimento. E quegli stessi suoni, poi, li ritroviamo all’esterno e impariamo a riconoscerli. Prim’ancora del linguaggio, impariamo a comprenderne musicalità, inflessioni, tonalità e sfumature. Quando mia moglie era incinta di Carlotta, mi avvicinavo alla pancia e con la sguaiatezza tipica dei comici Pio e Amedeo ripetevo: “Amore mioooo, amore mioooo”.
Un gioco che poi ho avuto la lucidità di riproporre al momento del primo bagnetto della bimba, a pochi minuti dalla sua nascita: ogni volta che emettevo quei suoni, lei smetteva di piangere. La puericultrice ne rimase così colpita che per tutta la permanenza in reparto, la bimba fu soprannominata “Carlotta amore mio”.

Per fortuna, però, ci ha pensato mia moglie Valentina a incidere una traccia musicale “seria” nella memoria inconscia di Carlotta. La sua ninna nanna, sarebbe meglio dire la canzone che lega mamma e figlia e di cui anche io impunemente mi sono servito talvolta per farla addormentare (fischiettandola però), è piuttosto impegnativa: “Io che amo solo te” di Sergio Endrigo. Carlotta la adora e ora che comincia ad articolare parole e frasi di senso compiuto capita di sentirla mentre cerca di riprodurne suoni e versi. Mi accorgo che è il suo rifugio, ciò che la riconnette a un senso di rilassatezza e tranquillità, la fa stare bene.

L’esempio di Ennio Morricone

Una circostanza che, insieme a tutto il carico complessivo di responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri figli, mi fa pensare a quanto sia importante riuscire a trasmettergli la curiosità, la voglia di scoprire, di appassionarsi, di ascoltare senza preconcetti, di farsi un’idea personale, di imparare ad apprezzare anche ciò che sembra distante da noi e che costituisce un arricchimento proprio perché diverso.
Farsi influenzare, senza esserne condizionati, capire prima di aderire a un’idea per partito preso. Insegnare anche e soprattutto con l’esempio. Proprio ciò che è stato probabilmente Morricone per i suoi quattro figli, due dei quali hanno scelto – forse non a caso – rispettivamente la via del cinema, in regia, e della musica, sulle orme paterne.

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