L’uomo che dà sfogo alle emozioni
Ve la ricordate la canzone dei Cure “Boys don’t cry”?
Il testo racconta di un ragazzo che soffre per amore ma non può esternare il suo dolore perché i ragazzi non piangono.
A questo aggiungete anche la presenza di nonno Alvaro, romano de Roma tutto d’un pezzo che diceva che: “l’omo che piagne non è un vero uomo”. Questo è il contesto nel quale sono cresciuto.
Per fortuna mio padre è un uomo che, nei limiti del suo carattere e della generazione alla quale appartiene, mi ha insegnato a dar sfogo alle emozioni. Il resto del lavoro lo ha fatto il diventare papà.
Fiumi di lacrime, altro che di parole come dicevano i Jalisse!
Mi sento meno macho? No, mi sento più leggero perché una lacrima che scende è un’emozione che trova un modo semplice, immediato e umano di uscire allo scoperto.
Ma poi parliamoci chiaro, gli uomini hanno sempre pianto.
Ulisse, tra una Circe e una Nausicaa, non piangeva forse per la mancanza dei suoi cari? Tuttavia, l’accettabilità del pianto maschile è variata nel tempo e attraverso la cultura. Le epopee medievali europee e giapponesi sono piene di eroi che piangono e il Romanticismo è stato riempito da pagine e pagine di racconti su uomini che davano libero sfogo alle proprie emozioni. Le cose cambiano con l’avvento dell’epoca vittoriana e del ventesimo secolo. La lacrima è affare da donna, l’uomo non deve dar sfogo alle emozioni!
L’educazione emotiva
Oggi le cose sono molto diverse e il nostro sentirci uomini passa anche attraverso una lacrima di troppo. Dar sfogo alle emozioni, lasciarle fluire tutte, anche quelle delle quali ci vergogniamo un po’, è una conquista fondamentale regalata da un nuovo concetto che risponde al nome di educazione emotiva. Su Facebook tempo fa impazzava un video in cui un papà (ripreso a sua insaputa dalla moglie), dopo un tremendo attacco di ira della sua bimba, le spiegava che va bene sentirsi turbati, pazzi o furenti, non c’è niente di male e che mamma e papà l’avrebbero amata comunque e in ogni caso. Sai cosa stava facendo quel papà? Parlava di emozioni e sentimenti.
Questo è il cuore dell’educazione emotiva: saper lavorare con l’emotività laddove imparare a gestirla vuol dire essere in possesso delle armi giuste per affrontare la vita. La definizione di buon padre è cambiata. Non è più soltanto quello che porta i soldi a casa, ma è una figura che si trova sullo stesso piano della mamma. Il Superpapà è pratico, ma è anche sensibile e premuroso, una sorta di àncora emotiva del proprio bambino. E questo è un gran bene per i nostri ragazzi e non lo dico io ma le recenti ricerche scientifiche che hanno dimostrato come i figli di papà emotivamente coinvolti siano più felici, meno ansiosi e in grado di instaurare ottime relazioni con i coetanei e gli insegnanti.
E tu Superpapà, quando hai pianto l’ultima volta?