Come affrontare l’argomento razzismo con i figli

Come affrontare l’argomento razzismo con i figli

Ho chiesto all’amico Luca Talotta, giornalista e blogger con la passione per lo sport e di tutto ciò che ruota attorno al mondo dei motori, come affronterebbe il delicato tema del razzismo con le sue due bambine:

Papà, ma che cos’è il razzismo?

Lo farò, ne sono sicuro. Un giorno, quando arriverà la fatidica domanda, lo farò. Per ora posso solo immaginare come sarà, come potrò comportarmi quando mia figlia mi chiederà: “Papà, ma che cos’è il razzismo?”.

Se qualcuno ha la risposta perfetta, si faccia avanti. Io, purtroppo, non ce l’ho. Perché essere genitore vuol dire sbagliare, provare a rimediare, sbagliare di nuovo e riprovare ancora. Però so che tipo di papà sono e so quale metro di giudizio sto mantenendo nella crescita delle mie due principesse. Per questo motivo spero, quando arriverà quel giorno, di essere preparato. Anche se nutro forti dubbi.

“Papà, ma cos’è il razzismo?”. La domanda arriverà, ne sono certo. Magari mentre siamo mangiando, mentre siamo in macchina o semplicemente stiamo guardando la televisione tutti assieme. In un momento di intimità domestica, di gioco, di chiacchiera. E lì, da buon padre, partirà la mia narrazione. Non partirò con la solita storiella sull’uguaglianza dei popoli, sul fatto che ci sono documenti ufficiali che le persone dovrebbero conoscere e invece ignorano volutamente (leggi, costituzioni, decreti, eccetera) e su tutto quello che “dovrebbe essere” e invece non è.
No, parlare di questo l’annoierebbe e non avrebbe l’effetto desiderato.
Forse sarebbe più semplice parlarle francamente:

“Sai, amore mio, ci sono persone che hanno un colore della pelle differente e culture differenti. Quando tu incontri una di queste persone, diventi più ricca”.

“Più ricca? E come papà?”

“Sì, più ricca, perché impari cose che non sai; una lingua diversa dalla tua, una cultura differente, un modo di ballare che ti potrà sembrare buffo all’inizio, un sorridere grottesco, un guardare al futuro in modo diverso. E ti piacerà, vedrai”.
Ovviamente mia figlia non capirà sul momento, ma con il passare del tempo quelle parole le resteranno addosso, come l’odore di erba sui prati quando ti rotoli dopo che è stata appena tagliata; come il profumo della lasagna appena sfornata, come quando da piccoli la mamma preparava qualche succulenta leccornia e tutti ci gettavamo al tavolo pronti a mangiare.

Oggi mia figlia, che ha 4 anni, si è innamorata come molte altre bambine dei film della Disney.
Principesse bellissime, spesso sfortunate, che grazie alle loro abilità e all’amore (ah, l’amore, com’è difficile spiegarlo ai bambini) riescono a raggiungere i propri traguardi e a tramutare in realtà i propri sogni.

I cartoni animati ci aiutano

Abbiamo cominciato guardando i classici di sempre, da Biancaneve a Cenerentola, ma in questo momento stiamo in fissa con La Principessa e il Ranocchio. Dove la protagonista della storia, Tiana, è una giovane ragazza di colore che ha perso il papà e svolge due lavori per mettere da parte i soldi per potersi comprare il ristorante che tanto sogna.
Il tutto in una New Orleans che tutto appare, fuorché razzista. Certo, è un film a lieto fine per bambini, non si poteva calcare troppo la mano su questo argomento tanto delicato quanto spinoso. Ma già l’idealizzazione di una principessa di colore (è la prima volta per Disney? Chiedo, ma mi sembra di sì) è un qualcosa. È chiaro che mi aspetto, prima o poi, la domanda della mia principessa:

“Papà, ma perché Tiana è nera?”.

E so già che lo dirà senza malizia, perché questa è la cosa bella dei bambini: non conoscono malizia, cattiveria, malvagità. E quando arriverà questa domanda, le mostrerò che essere bianchi o neri, oggi, cambia poco.
Perché i grandi che hanno scritto pagine indelebili della storia mondiale sono stati di qualsiasi colore.
C’è chi è stato finanche presidente degli Stati Uniti per otto anni di seguito (al secolo Barack Obama), chi ha combattuto 40 anni in una prigione per abolire l’Apartheid nel suo paese (vedi la voce Nelson Mandela nell’enciclopedia); ma anche chi è morto mentre lottava per l’uguaglianza, come Martin Luther King e Malcolm X. E le mostrerò che anche oggi ci sono grandi personaggi, bianchi e neri: cantanti, attori e anche principesse, come quella Tiana che ama tanto e che un po’ invidia.
Perché sì, i bambini invidiano anche i neri: nella loro semplicità, non riescono a discernere il buono dal cattivo, il giusto dallo sbagliato. Per loro siamo tutti uguali: beati loro che possono permettersi, per qualche anno, di avere questi giudizi.

Chi è razzista?

Le spiegherò che dovrà portare rispetto a queste persone, perché le potranno dare molto in futuro. Le mostreranno un lato nascosto della vita che non conosce, cose mai viste e mai sentite. Sempre con papà al suo fianco, ci mancherebbe; quel papà che non la lascerà mai sola. Perché essere razzisti è sbagliato, la diversità sociale in realtà può essere una forma di ricchezza. Ma chi è razzista? Il bianco che parla male e picchia il nero o che fa lo stesso con un suo simile? E poi il razzismo, è dato solo dal diverso colore della pelle? No, non credo. Il poliziotto che ha ucciso George Floyd era solo razzista? O c’era qualcos’altro dietro?

È affascinante notare come, da piccoli, i bambini non siano per nulla razzisti. Quanto sta accadendo in America deve farci preoccupare, saremmo degli ipocriti se dicessimo il contrario. Ma dobbiamo insegnare ai nostri bambini ad andare oltre le apparenze, a vedere quanto di bello c’è nelle persone. Sperando che la società ci aiuti e non spinga oltre quest’ondata di odio razzista che periodicamente riaffiora, come un male incurabile che non riusciamo a distorcere dal nostro animo malato.

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