Inclusione sociale. Un concetto del quale, negli ultimi anni, si parla sempre di più a diversi livelli. Nell’ambito della disabilità, grazie anche ai tanti passi avanti compiuti nel tempo, il tema del “dopo di noi” ha assunto un valore decisivo. Molti i quesiti che ci si è posti, e parte delle risposte sono giunte anche grazie alla Locanda dei Girasoli di Roma. Di cosa si tratta? Molto semplicemente di un ristorante-pizzeria, al cui interno operano, accanto a individui normodotati, anche ragazzi con la sindrome di Down e non solo: il progetto promosso dalla cooperativa I Girasoli, nato del 2000 a partire dall’intuizione di alcuni genitori, coinvolge infatti persone con patologie diverse, tra cui l’autismo.
«Alla Locanda dei Girasoli – è la presentazione dell’iniziativa pubblicata sul sito web www.lalocandadeigirasoli.it -, amalgamando solidarietà e professionalità, attivando percorsi integrati di formazione/informazione delle persone, si contribuisce alla creazione di posti di lavoro finalizzati all’integrazione lavorativa e nel contempo a quella territoriale, concretizzando un esempio di imprenditoria sociale vincente. L’operato dei Girasoli, entrati nel Gruppo Sintesi nel settembre del 2013, si ispira ai principi base del movimento cooperativo, nel quale la mutualità, la solidarietà, il rispetto della persona e la democraticità, consentono di mantenere un bilancio in attivo e proporre un modello produttivo nuovo e replicabile».
Per comprendere meglio la portata del progetto, Superpapà ha avuto il piacere di conversare con la dottoressa Simona Balistreri, psicologa attiva all’interno della Locanda dei Girasoli: «Attualmente nel ristorante lavorano otto ragazzi, cinque dei quali sono entrati dopo il 2013. Per la maggior parte operano in sala, uno è invece in cucina, un altro lavora come aiuto pizzaiolo. Hanno un contratto part-time». È bene evidenziare, in tal senso, che si tratta di un vero e proprio lavoro: «Da circa un mese e mezzo – aggiunge la dott.ssa Balistreri – il locale è aperto a pranzo e cena. Per far sì che i ragazzi possano lavorare è necessario qualche mese di preparazione, è difficile quantificare con esattezza la durata di questa fase, perché è un qualcosa che va valutato di persona in persona e a seconda del tipo di patologia». Al mattino, inoltre, è attualmente attivo un tirocinio che coinvolge quattro individui, l’attività su cui ci si sta concentrando è quella della preparazione di un servizio catering.
Quali principali passi avanti si riscontrano nelle persone che intraprendono questo percorso? «Senza dubbio a livello di autonomia, non solo lavorativa. Ad esempio alcuni dei ragazzi riescono a prendere autonomamente mezzi di trasporto, cosa che in una città come Roma non è semplice. C’è poi un fattore legato alla gestione del denaro, ci si trova di fronte a un vero e proprio stipendio. E poi si registra una maggiore allegria, i ragazzi sono felici della loro attività e trasmettono anche agli altri questo genere di sensazioni».
Credere nelle potenzialità di crescita delle persone si è perciò rivelata la strada giusta, che ha permesso di superare quelle barriere, oggettive ma non solo, che spesso riguardano il mondo della disabilità.
Emanuel Di Marco
(fotografie di Fabiana De Sario)